Per i Greci il gelso era la pianta consacrata al dio Pan, ricca di simbologia, intelligenza e passione ed è proprio ai suoi piedi che si consuma il dramma d’amore di Tisbe e Piramo, come racconta Ovidio nelle sue “Metamorfosi”. I due giovani babilonesi, innamorati pazzamente, vennero rinchiusi in cantina dalle rispettive famiglie, contrarie al loro amore.
Una lieve fessura, però, permetteva loro di comunicare e così concordarono di attrarre i loro guardiani in una trappola, per poi fuggire e ritrovarsi nel bosco dove c’erano una fonte e un albero di gelso. La prima a darsi alla fuga fu Tisbe ma, mentre era nei paraggi della fonte, vide una leonessa con la bocca sporca di sangue che, evidentemente, aveva appena divorato una preda.
Spaventata, scappò via ma, nella corsa, perse lo scialle che l’avvolgeva. La fiera, visto l’indumento, prima di allontanarsi, si avventò su di esso lacerandolo e imporporandolo. Subito dopo giunse Piramo che, non vedendo la sua amata ma ciò che restava del suo scialle, pensò che Tisbe fosse stata uccisa. Preso dalla disperazione, estratto lentamente dal fodero il suo pugnale, si tolse la vita.
Mentre il giovane esalava l’ultimo respiro, ritornò Tisbe che, affranta e incredula, stringendosi al seno il suo amore e baciandolo prima di prendere il medesimo pugnale, si trafisse. Si dice che il sangue di Piramo, irrorando il terreno, nutrì il gelso il cui frutto, da quel giorno, da bianco divenne nero.